Giulio Bizzozero nacque a Varese nel 1846,
studiò a Milano e si iscrisse alla facoltà di medicina a Pavia dove si laureò a soli 20 anni. Giovane medico brillante l’anno dopo iniziò ad insegnare patologia e istologia nell’ateneo pavese e nel 1873 fu chiamato a Torino come professore di patologia generale. La sua chiamata a Torino faceva parte del progetto di svecchiare l’ateneo torinese e dare spazio a giovani studiosi impegnati nella ricerca sperimentale. Dopo pochi mesi dal suo insediamento a Torino purtroppo morì il rettore Timermans, che si era speso personalmente per aiutarlo a trovare dei laboratori per il suo lavoro. Bizzozero si trovò osteggiato dai vecchi professori che avevano un’altra visione dell’incarico accademico, ma non si perse d’animo e trasformò alcune stanze nel suo appartamento in laboratorio fino a quando riuscì ad ottenere alcuni locali in via Po 18, dove si trovavano anche i laboratori dei fisiologi e dei farmacologi. Solo nel 1893 poté finalmente accedere agli ampi spazi del palazzo della Città della Scienza dedicati agli studi di patologia in corso Raffaello 30.
Nelle ricerche di Bizzozero il microscopio fu sempre fondamentale e a tal proposito pubblicò un trattato dal titolo Manuale di Microscopia clinica: erano descritti metodi e tecniche, venne tradotto in molte lingue e per molti anni fu un testo fondamentale per tutti coloro che si avvicinavano all’uso di questo strumento.
Nel 1881 scoprì il terzo elemento corpuscolare presente nel sangue, le piastrine. Il nostro patologo non solo le osservò al microscopio, le descrisse e le disegnò ma riuscì anche, con particolari esperimenti, a capirne il ruolo fondamentale nella coagulazione del sangue: tutto ciò con i mezzi limitati del tempo.
L’Università di Torino conserva ancora il microscopio Hartnack che utilizzò per i suoi studi. Molto sappiamo di questo strumento: fu costruito a Parigi, acquistato nel 1878 e si conserva la fattura da cui risulta essere costato 1677 lire, una cifra notevole per quei tempi. Inoltre si conservano i disegni originali fatti da lui e dai suoi collaboratori che descrivono questi corpuscoli: si tratta di alcune tavole acquerellate che riportano fedelmente ciò che si osservava al microscopio.
Nel 1879 inventò il cromocitometro, uno strumento molto semplice e di costo contenuto, che permetteva di fare una valutazione precisa dell’emoglobina utilizzando poche gocce di sangue. Scoprì la funzione ematopoietica del midollo osseo e nel 1894 stabilì una classificazione delle cellule in labili, stabili, perenni, in base alla durata del loro ciclo vitale.
Importante fu anche il suo impegno nell’ambito civile, che diventò ancora maggiore negli ultimi anni della sua vita in cui non poté più dedicarsi agli studi al microscopio a causa di una grave patologia agli occhi. Si adoperò per combattere la diffusione delle malattie infettive, sostenere le campagne per le vaccinazioni contro il vaiolo, per migliorare le condizioni igieniche dei centri abitati con la costruzione di impianti fognari e nuovo acquedotti, per creare un organismo centrale dipendente direttamente dal governo che si occupasse di salute pubblica e di prevenzione e gestione delle epidemie. A Torino si impegnò per la costituzione dei bagni pubblici e fu tra i sostenitori della costruzione dell’Amedeo di Savoia, un ospedale dedicato interamente alle malattie infettive. Dal 1887 fece parte del Consiglio Superiore di Sanità e fu un grande sostenitore della Legge Pagliani-Crispi, la prima legge italiana sulla Sanità pubblica, promulgata nel 1888.
Nel 1890 venne nominato senatore del Regno d’Italia: nonostante fosse famoso per la sua diplomazia e per la sua arte di mediazione nelle fazioni avverse, compito svolto egregiamente nell’ateneo torinese, sono rimasti famosi i suoi due discorsi in Senato con i quali accusò senza mezze misure il governo Rudinì di voler ridurre i fondi destinati alla sanità pubblica anzichè quelli per le spese superflue di rappresentanza del Regno d’Italia. Si prodigò anche con conferenze popolari e articoli sulle riviste più diffuse del suo tempo a diffondere le nuove conoscenze in campo scientifico e a trasmettere anche sui quotidiani le norme basilari di igiene per migliorare le condizioni di vita di tutti.
Un’ultima curiosità: apprezzava molto la macchina da scrivere; sul periodico Nuova Antologia pubblicò un articolo sul tema, dove ne raccomandava l’uso, sia per rendere più semplice la comprensione di ciò che si scriveva se non si era dotati di una bella calligrafia, sia perché permetteva di mantenere una postura migliore rispetto all’uso della penna. Sosteneva però che non era bello utilizzare questo mezzo per scrivere lettere ai propri cari sia perché poteva sembrare che fossero stati altri a scriverle e sia perché la visione della calligrafia di una persona cara aveva sicuramente un effetto positivo dal punto di vista emotivo sul lettore.
Morì a soli 55 anni, nel 1901, in seguito ad una polmonite e fu sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Varese. Nell’istituto da lui frequentato è posta una lapide che ne ricorda il suo operato.